The Arctic Stories

 

Intervista a Ben di Polar Permaculture alle isole Svalbard

Lui è Benjamin L. Vidmar, un cuoco americano trasferitosi 12 anni fa alle Isole Svalbard. Dalla Florida: un excursus termico di almeno 50 gradi centigradi che ha colmato con il caldo del suo cuore. La vita di Ben e del suo sogno Polar Permaculture segue il ritmo delle due grandi stagioni artiche: l’inverno con la sua notte polare e l’estate dove non tramonta mai il sole.

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Durante l’inverno coltiva microgreens in un laboratorio avveniristico dove l’acqua ribolle e le luci a led illuminano e riscaldano semi e piantine. Sembra davvero la casa di uno scienziato pazzo o l’antro di uno stregone.
Ogni settimana Ben e il suo team mettono a dimora su un substrato di cellulosa semi di diverse piante (crescione, piselli verdi, ravanelli, cipolla e tante altre) che diventeranno fresche, rigogliose e buffe piantine in qualche settimana pronte per essere consegnate negli hotel e ristoranti del villaggio.
Quando fuori le temperature scendono anche sotto ai -30 gradi e le ombre avvolgono tutto, questa è la soluzione. 
La scienza, la ricerca e la tecnologia danno il loro contributo, naturalmente senza denaturare la qualità e la vitalità dei vegetali: semi, substrato e fertilizzante sono biologici.

Quando arriva l’estate artica e le temperature superano lo 0°, la magia si sposta all’esterno.
Ben ci mostra la sua serra estiva, che lui chiama “the dome”, la cupola, ma che a me piace chiamare “il duomo”, con una piccola licenza poetica e una sineddoche nella traduzione letterale.
Perchè quando abbiamo visto dal vivo quella piccola serra avvolta nella luce blu del crepuscolo è stato come trovarsi in un luogo sacro. Sacro come un simbolo.
Alla fine dell’inverno la serra è ancora chiusa, le piante al suo interno sono morte, arrivate alla fine del loro ciclo vegetativo, ma sarà la luce irreale, l’aria così fredda e la forma di quel sogno divenuto reale tra tubi di metallo, teli di plastica, pallet di legno e terriccio umido a rendere quel luogo speciale.

E’ la vita nella sua forma più pura.
E la vita, lo sappiamo tutti, non è perfetta.

Il sogno di Ben è ancora agli inizi e ancora pieno di difficoltà e incomprensioni: dopotutto coltivare vegetali a due passi dal Polo Nord e diventare simbolo di un’economia circolare – e sopratutto reale – in uno dei luoghi con più alto impatto di Co2e pro capite è davvero complesso.

 

 

Intervista a Marie, donna Inuit di un villaggio a nord dell’Alaska

Ci troviamo in uno dei villaggi più a nord dell’Alaska, dove finisce l’Arctic National Wildlife Refuge e la tundra artica sfocia nel mare di Beaufort, l’ultima frontiera prima dell’oceano artico. Qui dove troviamo il cuore pulsante di una terra rimasta immutata nei secoli incontriamo Marie, una donna inuit che da sempre abita questa terra.

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Con lei condividiamo intere giornate e viviamo in prima persone le difficili sfide di questo territorio e le tradizioni del mondo inupiaq: cosa è cambiato, cosa vuol dire abitare l’artico, cosa vuol dire oggi essere essere i nativi di questa terra.
Una terra che giorno dopo giorno si riduce e cerca un nuovo collocamento per via dell’erosione del permafrost.
Le case non sono più sicure e le mareggiate sono sempre di più, ogni estate vediamo una parte di terra lasciarci.
Infatti Kaktovik, il villaggio di Barter Island è uno dei villaggi a più rischio di tutta l’Alaska, “non riesco a pensare che un giorno potrebbe scomparire”.
La caccia è sempre più compromessa così come la pesca.
Il clima è cambiato, il ghiaccio è sempre meno stabile e le migrazioni di tutti gli animali sono cambiati.
“Mi sarebbe piaciuto vivere come un tempo, seguendo le stagioni con cibo fresco ogni volta.” Oggi infatti gran parte dei viveri arrivano in aereo sopratutto nei mesi invernali, il permafrost che un tempo faceva da “frigor” per le stagioni estive oggi conserva sempre meno il cibo.

Ma non stiamo subendo solo noi tutto questo, gli orsi polari, i più grandi predatori dell’artico, maestosi mammiferi che si sono evoluti per prosperare nel clima più feroce sulla terra, ora stanno lottando per sopravviverci.
Infatti sempre più spesso vengono trovati lungo del villaggio, questo perchè il ghiaccio è sempre meno stabile e sempre più di frequente ci siano casi di annegamento a largo della costa.

Il nostro governo intanto vuole fare la parte di Dio, vuole controllare tutti gli animali. Ma com’è possibile contare gli uccelli? 

 

 

Intervista a Cheshtaa – Microbiologa marina | L’impatto del cambiamento

Oggi le Isole Svalbard sono il luogo dei contrasti e dei compromessi, delle apparenze e della fredda realtà. Cheshtaa, ragazza indiana di Bangalore qui alle Svalbard per quattro anni di dottorato in microbiologia marina, ci racconta di aver trovato più spezie indiane qui che nel Mainland, come qui chiamano la Norvegia. Qui al Longyearbyen dove vivono circa 2.000 persone di 53 nazionalità diverse

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Che impatto ha questo cambiamento radicale sulla vita acquatica, dai microorganismi alle piante fino ai grandi mammiferi?
Cheshtaa è una giovanissima microbiologa marina, viene da Bangalore e vive qui alle Svalbard già da qualche mese.
Ci resterà per quattro anni, a congelarsi le mani prelevando e analizzando campioni dell’acqua gelida dell’oceano.
Cheshtaa ha già girato mezza Europa, studiando il mare e i microorganismi che lo abitano. Francia, Spagna, Belgio,
Norvegia.
E poi le isole Svalbard per studiare i cambiamenti climatici e i microrganismi che non si possono vedere con li occhi, cercando di verificare come è cambiata la loro diversità nell’acqua negli ultimi 10 anni.
In questi ultimi anni c’è stato un grande evento legato all’Atlantico, che ha portato le proprie acque nell’Artico ed è ovviamente un male dato che l’Atlantico è “caldo” e l’artico è freddo.
Sto cercando di capire quello che sta succedendo per valutare come influenzerà i microrganismi che sono protisti.
Quest’acqua calda cambierà la loro vita, aumenteranno o cambieranno in quantità e cambieranno le loro funzioni.
Tutte le cose che stanno accadendo e accadranno sono una conseguenza del cambiamento climatico.